martedì 30 agosto 2011

La mossa del somaro

Normalmente non parlo di politica, ma in questo caso farò un'eccezione.

Vorrei che ci si fermasse un attimo a riflettere su dove sta andando l'Italia, il mio amato Paese, cui ho giurato fedeltà volontariamente a 16 anni come allievo della Scuola Militare Nunziatella di Napoli.

Viviamo tempi complicati, in cui quelli della mia generazione, nati tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, mai avrebbero pensato di dover vivere. Siamo nati in famiglie dove spesso lavorava solo il papà, e dove la mamma stava a casa a badare ai bambini. Siamo cresciuti in un mondo dove i papà avevano il tempo di tornare a casa e passare del tempo con noi, riguardarci i compiti, strigliarci se ne avevamo bisogno. Si andava al mare con le 500 e le 850, col portabagagli stracarico sul tetto. Erano tempi in cui ci si poteva permettere di stare un mese fuori senza svenarsi o fare debiti, si andava a pesca di polpi col papà, e si poteva portarli orgogliosamente alla mamma perché li cucinasse.

Ci è stato insegnato, a me per primo, a credere che la maggior parte delle persone fosse fondamentalmente buona ed onesta; che a parte qualche endemica minoranza di furbi e di delinquenti si facesse tutti più o meno il proprio dovere.

Personalmente, ho sempre creduto in qualcosa di ancora più profondo.

Io sono uno di quegli sciocchi che fanno della triade "Dio, Patria e Famiglia", la propria filosofia di vita. Noi sciocchi crediamo in Dio senza necessariamente essere parte attiva di una confessione religiosa, dato che ci appare evidente dalla meravigliosa complessità del mondo che quest'ultimo non può essere frutto del caso. Crediamo nella Patria perché ci sentiamo parte di una comunità che non è solo quella strettamente familiare o sociale, ma che abbraccia l'intera nazione, il suo passato, la sua storia gloriosa. Crediamo nella Famiglia perché siamo profondamente convinti della verità dell'aforisma "Unus homo, nullus homo", e perché la nostra speranza e realizzazione come esseri umani risiede nel guardare i nostri figli negli occhi senza vergogna e vederli sorridere.

Siamo i bravi ragazzi, quelli che si alzano di mattina, si fanno il segno della croce oppure no, danno un bacio alla moglie e ai propri bambini, e partono a testa bassa per una nuova giornata di lavoro. Per noi il lavoro non è solo un modo di fare soldi o acquisire potere per poi vantarsi dell'uno o dell'altro. E' invece un modo di contribuire alla crescita della nostra comunità, di portare il nostro mattoncino alla creazione di un Paese sempre più bello e forte.

Siamo gli stupidi, quelli che pagano le tasse fino all'ultimo centesimo, quelli che hanno magari sacrificato la propria giovinezza per laurearsi. Lo facciamo perché a casa ci hanno insegnato, con l'esempio, che è cosa doverosa essere onesti; e perché crediamo che impegnandosi seriamente, e non con le furberie, si possa prendere onorevolmente l'ascensore sociale di cui tutti parlano.

I tipi come noi sono il nerbo del Paese, senza il quale l'intero sistema si affloscia. Siamo tanto forti e cocciuti da essere persino capaci di tenere sulle nostre spalle un numero accettabile di furbi, quelli che pensano che siamo solo degli stupidi idioti, senza la spina dorsale necessaria ad emergere, a fare i soldi veri, ad avere il vero potere.

Quello che i furbi non comprendono è che i bravi ragazzi hanno un unico, fondamentale difetto: sono molto resistenti, ma poco resilienti.

Viene un tempo in cui i bravi ragazzi si stancano, perché tutto possono sopportare, tranne essere presi in giro e defraudati delle cose che si sono guadagnati con il proprio impegno e sudore.

Nele ultime ore il Governo Italiano ha varato una manovra dove si prendono ancora una volta in giro i bravi ragazzi. Di più, li si umilia, al grido di "Noi siamo noi, e voi nun siete un...", tanto caro al Marchese del Grillo.
Improvvisamente, l'aver fatto l'università, avere passato un anno o più al servizio della Patria come soldati non vale più nulla.

Non voglio discutere l'opportunità economica di quanto si sta facendo. Voglio solo dire che i bravi ragazzi, quelli che sono entrati nel mondo del lavoro a 28-30 anni perché hanno studiato; che non si sono imboscati per non fare l'anno di leva; si sentono in questo momento dire implicitamente "Non rispetto i miei impegni con te, perché so che non ti ribellerai. Mi permetto di cancellare i tuoi sacrifici perché ho interesse a che l'elettorato leghista, che è andato presto a lavorare, non si incavoli e Bossi non faccia cadere il Governo, che è l'unica cosa che mi interessa. Non rispetto i miei impegni con te, anche se mi è chiaro che se sei andato a lavorare a 30 anni e non puoi riscattare nulla, molto difficilmente raggiungerai gli anni di contributi necessari ad andare in pensione, perché non è credibile che un'azienda non statale ti tenga a lavorare fino ai 65.", e qualcosa gli si rompe dentro.

Secondo il mio modesto parere, quello di cui sopra è un provvedimento che apre la porta alla jungla, in cui nessuno si fida più di nessuno. Credo personalmente che tentando di fare la mossa del cavallo per superare gli ostacoli economici di questa crisi, il Governo abbia fatto la mossa del somaro.

Dato che ci tengo al mio Paese e credo che il suo progresso passi dal rispetto delle regole, dei patti intergenerazionali e dei diritti acquisiti con il lavoro e l'impegno, e non con le furberie, ho una cosa semplice da dire.

I bravi ragazzi, nel loro piccolo, prima o poi si incazzano seriamente.

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